Nella casetta gialla in mezzo al bosco stava accadendo qualcosa di molto speciale. Era la casetta di Orsola e Orsone De Boschi e quel giorno, da due orsi che erano, stavano per diventare tre

Orsone non stava più nella pelle, o forse sarebbe meglio dire nella pelliccia. Era senza dubbio il momento più straordinario della sua vita, pensava. Se era così straordinario per lui, neanche riusciva a immaginarsi quanto dovesse essere straordinario per la sua Orsola. Ecco, adesso era proprio arrivato il momento: il piccolo Orsino De Boschi aveva fatto il suo ingresso nel mondo!

“Ma quanto è minuscolo e adorabile!” pensava Orsone abbracciando la sua Orsola e guardando ammirato quella piccola e neo-nata pallottola di pelo. Aveva tanto fantasticato su quel momento nelle settimane precedenti. Ma nessuna fantasticheria poteva corrispondere a quello che sentiva.

Era come se un’esplosione di cinquecento giare di miele gli stesse scoppiettando nella pancia, riempiendolo di quell’incredibile tesoro dorato, che sentiva scorrere dalle unghie delle sue zampone fino alla punta delle sue orecchie.

Chissà se anche Orsola si sentiva così, pensava Orsone.

Non fece in tempo a chiederle come stava che Lara, la loro lepre levatrice, lo fece uscire dalla stanza dicendogli che c’erano un mucchio di cose da fare e che non c’era abbastanza spazio per tutti, “su su esci Orsone, c’è da fare qui e non ci stiamo se stai dentro anche tu”. Orsone, che sapeva che alle lepri è bene dare ascolto, obbedì.

Una volta fuori dalla stanza, sentì che l’esplosione di miele che gli scoppiettava in corpo subiva una trasformazione, come se lo scoppiettio si fosse arrestato e il caldo e liquido miele si stesse freddando e solidificando. Anche i suoi pensieri stavano virando verso scenari più… “solidi”: “cosa faremo quando la lepre andrà via? Saremo capaci di badare a Orsino da soli? Capiremo quello che gli serve? Mamma mia come mi tremano le zampe…”. Finalmente riuscì a scacciare questi pensieri con un altro pensiero: “sicuramente Orsola saprà cosa fare e insieme ce la faremo… come quella volta che insieme abbiamo spostato quei massi enormi che coprivano un banco di salmoni… yumm…” A Orsone venne da leccarsi i baffi al solo ricordo di quella giornata. Pensando ai salmoni, crollò in un sonno profondo, mentre nella stanza accanto Lara istruiva Orsola su come dare da mangiare a Orsino, prima di lasciare la casetta gialla e la famiglia De Boschi a se stessa e ai suoi già piccoli spazi.

Nei giorni seguenti fu tutto assolutamente nuovo per Orsola e Orsone. Scoprirono che Orsino era un gran mangione, ma non era per niente un dormiglione. Durante la notte Orsone faceva del suo meglio per evitare a Orsola di doversi svegliare a ogni mugugnino di Orsino, ma non c’era verso, lei era comunque già sveglia prima di lui.

Al quarto giorno dopo il lieto evento, Orsone dovette tornare alla sua routine da orso, ossia passare le giornate nel bosco per cercare di procacciare quanto più cibo possibile per affrontare l’inverno. Considerando poi che questo inverno sarebbero stati in tre e che Orsino era decisamente una “buona forchetta”, Orsone aveva raddoppiato i suoi ritmi di caccia e di raccolta, preoccupato che alla sua famiglia potesse mancare qualcosa. Questo però lo portava ad andare ad esplorare zone del bosco sempre più lontane e a rientrare a casa sempre più tardi.

Quando finalmente varcava la soglia della sua casetta gialla, percepiva un’aria di giorno in giorno più strana. Se si avvicinava ad Orsola che cullava Orsino tra le braccia, lei lo allontanava bruscamente dicendogli che avrebbe rischiato di svegliare il piccolo.

“Vai di là che di qui non ci stiamo… vedi, ha mugugnato, vuol dire che il tuo arrivo lo ha disturbato!” così lo apostrofava Orsola, e Orsone si allontanava un po’ smarrito. Se voleva prendere in braccio Orsino, prontamente Orsola gli correggeva la postura, al punto che lui si sentiva incapace di tenere il piccolo come lo teneva lei e si sentiva preoccupato di fare qualcosa di sbagliato, quindi glielo lasciava o si limitava ad adagiarlo nel suo lettino. Anche di notte poi si ripresentava il problema dello “spazio”. Orsola preferiva tenere Orsino di fianco a lei, perché, diceva, era più pratico così dargli da mangiare quando si svegliava. Così però per Orsone (che essendo un orso rappresentava in effetti una presenza di un qual certo ingombro) nel letto non c’era più spazio ed era costretto a spostarsi sul divano.

“Non c’è spazio di qui, non c’è spazio di lì…” sbuffava Orsone pensando tra sé e sé. “Ma anche io ho bisogno di spazio… sono pur sempre il papà in questa famiglia, anche se mi chiedo a cosa serva dato che non sono buono neanche a tenere in braccio mio figlio…”. Con questi pensieri, stanco dalla giornata di caccia sempre più intensa, si addormentava crollando in un sonno agitato e nervoso.

Un giorno Orsola lo svegliò di soprassalto: “mia mamma è caduta e si è rotta una zampa, devo andare ad aiutarla! Il viaggio fino all’altro capo del bosco è troppo lungo per  portare Orsino, dovrai tenerlo tu… ti ho lasciato una lista di tutto quello che devi fare, seguila e andrà tutto bene!”. Orsola gli diede un rapido bacio senza lasciargli tempo di ribattere, poi raccolse una valigia e si precipitò fuori. 

Ormai completamente sveglio, Orsone andò a riappropriarsi della sua camera da letto e guardò Orsino che ancora dormiva beatamente. “Finalmente soli io e te” pensò Orsone. “Questa è la mia occasione per dimostrare a Orsola che sono ben capace di badare a mio figlio… che ci vorrà mai…”. Proprio in quel momento Orsino si svegliò e, non conoscendo altro modo per esprimersi, iniziò a piangere. Orsone consultò la lista lasciata da Orsola: “se piange dagli la pappa; se continua cambia il pannolino”. Orsone provò con la pappa, ma Orsino non ne voleva sapere di mangiare e continuava a piangere. Orsone provò allora a cambiargli il pannolino, ma anche questo non sortì alcun effetto sul pianto, anzi, lo fece aumentare.

Adesso Orsone iniziava a sentirsi in difficoltà… “questo non è scritto sulla lista… oh mamma, che fare? che fare?”. Orsino continuava a piangere e Orsone si sentiva sempre più disperato e preoccupato. “Ma come fa Orsola tutto il giorno da sola con lui? Mi sembra impossibile sopravvivere fino al suo ritorno di stasera!”. Mentre era preso da un’orsesca disperazione, Orsone provava le mosse più disparate per calmare il piccolo. Lo prese in braccio, lo rimise sul lettino, lo cullò… niente, il pianto non si fermava.

Ad un certo punto Orsone si sedette sul divano e mise Orsino sulle sue ginocchia. Centro! Il pianto si interruppe e lascio spazio a dei gorgoglii di soddisfazione. Orsone non aveva idea di cosa avesse fatto smettere di piangere Orsino, ma restò per sicurezza in quella stessa posizione fino a quando non si sentì formicolare tutte le gambe.

Quando, circa un’ora più tardi, Orsino riprese a piangere, Orsone riprovò a metterlo sulle sue ginocchia e anche questa volta, con suo grande stupore, la cosa funzionò. 

Nel corso della giornata, tentennando tra “prove ed errori”, Orsone fece altre affascinanti scoperte sul conto di suo figlio. Scoprì ad esempio che il rumore dell’acqua che scorre dal rubinetto lo infastidiva, mentre il rumore dell’acqua che scorreva dalla vasca da bagno lo calmava. Scoprì che se gli accarezzava la zampina sinistra soffriva il solletico, se invece gli accarezzava la destra riusciva a farlo addormentare più rapidamente.

Ognuna di quelle scoperte, tutte scoperte rigorosamente per caso e assenti nella lista di Orsola, lasciava Orsone meravigliato. Gli sembrava di aver scoperto un linguaggio speciale e segreto.

Man mano che si avvicinava la sera, e quindi il ritorno di Orsola, Orsone si sentiva irrequieto, invece che rassicurato dal ritorno della moglie, ritorno che tanto aveva invocato qualche ora prima. Era fiero di quel linguaggio che aveva iniziato a crearsi tra lui e Orsino.

“Anche Orsola avrà un suo linguaggio speciale… anzi, considerando tutto il tempo che passano da soli, il loro linguaggio sarà ormai specialissimo…” a pensare al tempo che Orsola passava con Orsino senza di lui si sentiva inondato da un senso di gelosia ed ingiustizia. Poi però ripensò al senso di terrore che aveva provato quella mattina quando non riusciva a far smettere il piccolo di piangere… pensò a come doveva essere stato difficile in quelle prime settimane per Orsola fare tutto da sola…

Mentre Orsone era immerso in queste riflessioni, Orsola stava per arrivare a casa. Vedeva già la casetta gialla in lontananza. Era stata in ansia tutto il giorno, era la prima volta che passava così tanto tempo lontano da Orsino e, soprattutto, che lo lasciava solo con il papà. Appena uscita di casa al mattino aveva pensato che così Orsone avrebbe avuto una bella lezione, finalmente avrebbe capito cosa voleva dire passare un’intera giornata soli con un neonato. Poco dopo però aveva iniziato a sentirsi gelosa di quella giornata che il marito avrebbe passato con Orsino senza di lei. Poi la gelosia aveva lasciato spazio alla preoccupazione: “se la caveranno?” si domandava in continuazione mentre aiutava sua mamma con la zampa rotta.

La porta della casetta gialla si aprì e Orsola entrò. Trovò Orsone seduto sul divano con Orsino accoccolato sulle sue ginocchia. Orsone le lanciò un gran sorriso, avvicinò un dito alla bocca per farle capire che il piccolo dormiva e la invitò con la zampa a sedersi di fianco a lui. Quasi all’unisono i due si dissero sussurrando:

“che paura che ho avuto oggi!”.

Risero dell’aver pronunciato la stessa frase. Si raccontarono la loro giornata, come non avveniva da tanto. Nelle settimane precedenti infatti sembrava proprio non essercene stato né il tempo né l’ormai noto spazio.  Era strano: nonostante avessero passato tutta al giornata separati, quello era stato, da quando era nato Orsino, il giorno in cui si erano sentiti più vicini e pensati l’un l’altro.

Nel frattempo Orsino, sollecitato dalle voci di mamma e papà, si era svegliato, giusto in tempo per vedere Orsone che dava una carezza sul viso della mamma. Un gesto semplice, che mamma e papà si erano scambiati innumerevoli volte, che tuttavia Orsino non aveva mai visto e che, per quelle insondabili ragioni che solo le menti dei bambini possono celare, lo fece ridere, ma ridere di gusto!

Orsone e Orsola si voltarono immediatamente verso di lui, sorpresi da quel suono nuovo che non avevano ancora mai sentito provenire dal loro piccolino… “lo senti? sta… “ “RIDENDO!” dissero mamma e papà ancora all’unisono e risero tutti e tre insieme, avvolti in quella magia che forse solo la risata di un bambino, o tutt’al più un fiume di miele dorato, possono far sentire.

Delle magie del potere del miele sugli orsi non conosciamo un granché, ma  sappiamo invece che le magie dei bambini per essere così magiche hanno bisogno, tra gli altri, di due ingredienti molto speciali: che ci sia spazio per tutti e, soprattutto, che i grandi non si sentano soli… altrimenti si rischia che la magia, forte ma anche fragile proprio come una risata, si spenga.

L’illustrazione è di ille_illustration