“Non siamo mica nella savana!” dicono a volte le mamme e i papà ai loro bimbi quando questi ultimi non ne vogliono sapere di obbedire alle regole. Devo dirvi però che in realtà, anche nella savana ci sono delle regole… a volte persino troppe! Lo sapeva bene Gilda, la giraffa protagonista di questa storia.

Gilda era la giraffa più giovane del suo branco, che viveva in una sterminata radura in un paese lontano.

Gilda detestava il fatto di essere la più giovane del branco. Vedeva intorno a sé le sue compagne, stagliarsi alte verso il cielo con i loro lunghi colli dritti. Le ammirava afferrare con grazia le foglie più nascoste degli alberi. Le osservava incedere con sicurezza ed eleganza durante le interminabili marce del branco.

Lei invece si sentiva sempre sgraziata e goffa. Quel suo collo lungo la faceva sentire ingombrante e in perenne pericolo di caduta.

Spesso infatti capitava che inciampasse perché perdeva l’equilibrio. Bastava che si lasciasse distrarre da un uccello che passava sopra la sua testa o da una nuvola dalla forma strana che – sbam! – il collo seguiva la testa e le zampe invece restavano lì piantate dov’erano, facendola ritrovare col muso a terra.

“Gilda!” la rimproverava allora la mamma, “lo sai che quando si cammina si guarda solo dritto! Te lo dico sempre! È la regola!”. Così dicendole la mamma andava poi a indicarle la “tavoletta delle regole”: un enorme pezzo di corteccia su cui erano scritte tutte le regole della famiglia della mamma e tutte quelle della famiglia del papà. Tra il branco delle giraffe questa infatti era l’usanza: ogni famiglia aveva la sua tavoletta e, ogni volta che una nuova coppia si formava, si scrivevano le regole tramandate dalla famiglia dell’uno e dell’altra.

Gilda, quando la mamma la rimproverava così, si innervosiva e così dal nervoso spesso finiva per perdere l’equilibrio ancor di più.

A volte invece capitava che, mentre cercava di accaparrarsi qualche fogliolina succulenta, il suo lungo collo non seguisse più la sua impaziente testa e – sbam – Gilda si ritrovava con un bel ramo sul mento. Anche lì la mamma la incalzava: “Gilda! Lo sai che quando si mangia si fa attenzione! Te lo dico sempre! È la regola!” mostrandole nuovamente la loro tavoletta. Così Gilda nervosa finiva per ingarbugliarsi tra i rami ancor di più. La frase “È la regola!” infatti la mandava su tutte le furie e quella loro stupida tavoletta delle regole ancor di più!

Sulla tavoletta della sua famiglia infatti c’erano regole davvero per tutto. C’era la regola per come si mangia, ma anche per come ci si lava, per quanto si può dormire, per la posizione in cui si può dormire, per il dove si può dormire – sì, il dormire pare essere molto importante nella savana – per come si cammina, per quanto si cammina, per come si parla con le altre giraffe…. un elenco quasi infinito. La mamma e il papà di Gilda avevano però un approccio piuttosto diverso al rispetto di queste numerose “regole”. La mamma era sempre presente per redarguire Gilda quando le pareva che la figlia venisse meno a qualcuna delle indicazioni date. Il papà invece generalmente non diceva mai “no” alla figlia, stava per lo più sulle sue, impegnato nelle attività del branco con gli altri papà-giraffa. Tuttavia in alcune rarissime, e imprevedibili, occasioni – SBAM – esplodeva! Come quella volta che Gilda era rimasta a gironzolare per la radura all’inseguimento di alcuni insetti perdendo la nozione del tempo e quando era rientrata il papà era rosso di rabbia dalle orecchie fino alla coda e sembrava sul punto di rompersi in mille pezzi da quanto forte aveva gridato: “Non si rientra quando si vuole!!! È la regolaaaa!!!”.

Tra i costanti “è la regola!” della mamma e tra i pochi ma esplosivi “è la regolaaaa” del papà, Gilda non sapeva più come comportarsi. Le sembrava infatti di incorrere in inciampi ed errori ad ogni passo ed era stufa stufa stufa di quella stupida tavoletta di corteccia che le veniva mostrata in ogni occasione. Un giorno, dopo l’ennesimo “è la regola!” Gilda esplose – sbam! – quasi come accadeva al papà: “bastaaa con questa vostra stupida tavoletta delle regole! Io ne voglio una tutta mia per fare le cose a modo mio!”.

Se ne andò allora a gironzolare un po’ per la radura e si sedette sconsolata su un tronco che affacciava su un piccolo corso d’acqua.

La corrente dell’acqua a un certo punto trascinò fino alle zampe di Gilda un pezzetto di tronco di baobab. Gilda ebbe un’idea: “Questo pezzetto di baobab è perfetto per diventare la MIA tavoletta delle regole!”.

Raccolse allora il pezzetto di corteccia dall’acqua, trovò un bastoncino per scrivere e si mise all’opera.

“Duuunque… cosa posso scrivere?” si domandò dubbiosa. “Non è mica facile inventarsi delle regole così dal nulla… forse è meglio se chiedo consiglio a qualcuno”. Andò quindi a trovare una delle sue amiche antilopi.

“Ciao amica antilope!” “Ciao Gilda!”

“Senti, sto cercando di scrivere delle regole tutte mie, perché sono stufa stufa stufa di quelle della mia mamma e del mio papà… tu cosa mi consigli di scrivere come prima regola?

L’antilope le rispose sicura: “Beh sicuramente scriverei che bisogna correre almeno 5 ore al giorno” “Grazie amica antilope! Lo scrivo subito!”.

Gilda volle subito mettere in pratica la “sua” prima regola, ma si rese presto conto che lei, non essendo un’antilope, non poteva correre così a lungo. Con un gran fiatone tracciò una riga sulla sua prima regola e si trovò punto e a capo.

Andò allora dalla sua amica zebra. “Ciao amica zebra!” “Ehi Gilda!”

“Zebra, sto cerando di scrivere delle regole tutte mie su questa bella corteccia, ma non so quali mettere… tu che regola mi consiglieresti?

“Regole? Noi zebre non seguiamo nessuna regola, da noi ognuna fa un po’ come le pare!” le rispose la zebra.

“Niente regole? Beh sembrerebbe un’idea fantastica!! Grazie amica zebra!!!”.

Gilda, entusiasta, scrisse quindi sulla tavoletta “niente regole” e provò a vedere com’era vivere come le aveva consigliato la zebra. Dopo poco però iniziò a sentirsi irrequieta… per una giraffa abituata a una lista infinita di indicazioni su come comportarsi, come dormire, dove mangiare… pensare di “fare come le pare” come la zebra era difficile. Anche perché Gilda non lo sapeva quello che “le pareva”, quello che le piaceva… si sentiva confusa e mentre camminava inciampò sui suoi stessi passi ancor più del solito…

Decise allora di tornare al branco delle giraffe ed andare da Fiona, la giraffa più anziana di tutto il branco, che solitamente era dispensatrice di ottimi consigli. “Cosa ti porta qui da me Gilda?” le chiese Fiona mentre masticava lentamente dei rametti di eucalipto.

“Oh Fiona! Sono proprio confusa… Mi sono stufata della tavoletta delle regole di mamma e papà e ho voluto farmene una mia, ma non so che regole metterci. Quelle della mia amica antilope sono fatte per le antilopi, non per me. La zebra invece dice che da loro di regole non ce ne sono proprio, ma anche questa mi sembra una cosa da zebre, non per me… io di qualche regola ho bisogno per stare su dritta con questo mio collo lungo e non inciampare nei miei stessi passi… oppure no?”.

“Dici bene cara Gilda, di qualche regola c’è bisogno, ma non di quelle dell’antilope, né delle non-regole della zebra, né tantomeno delle mie…” “Quindi nemmeno tu puoi consigliarmi cosa scrivere sulla mia tavoletta?” “Purtroppo no, ma so invece chi può, e deve, ascoltarti” disse Fiona accennando un sorriso e indicandole l’alberello sotto cui riposavano i suoi genitori.

Con l’aria sempre più sconsolata Gilda seguì lo sguardo di Fiona e tornò dalla sua mamma e il suo papà, che iniziavano ad attenderla per cena.

“Eccoti Gilda! Dove sei stata?” le chiesero. Gilda, con un po’ di vergogna perché non era sicura che l’avrebbero capita, raccontò loro la sua giornata e gli mostrò la sua tavoletta delle regole, vuota, che le sembrò talmente inutile e che lanciò a terra.

I genitori di Gilda, che erano un po’ testoni, come tutte le giraffe, ma non erano affatto insensibili, si dispiacquero molto nel vedere la loro piccolina così sconsolata e triste. Ad entrambi lo sguardo andò sulla loro famosa vecchia tavoletta delle regole. Forse, pensarono entrambi guardando quell’ormai sfilacciato pezzo di legno, Gilda aveva ragione quando la chiamava “quella stupida tavoletta!”. Essendo l’unione di tutte le vecchie regole usate nella famiglia della mamma e di tutte le vecchie regole usate nella famiglia del papà, era veramente un elenco lunghissimo, quasi quanto i loro lunghi colli, e alcune di quelle “regole” risultavano incomprensibili pure a loro.

La mamma di Gilda allungò il collo per recuperare la tavoletta lanciata dalla figlia. “Cosa fai mamma?” le chiese Gilda stupita, “non serve a niente quella tavoletta lì, è vuota!”.

“Beh vuota non lo sarà più” rispose la mamma, “ma ti assicuro che non sarà neanche piena come quella stupida tavoletta lì, vero caro?” domandò rivolgendosi al papà.

“Oh sì” confermò il papà di Gilda e, stupendo tutti, – sbam! – spaccò in due la vecchia tavoletta delle regole. La mamma e il papà decisero infatti che Gilda, come loro, aveva bisogno di qualche regola, ma le regole dovevano essere proprio loro, di loro due, non di chissà quale antenato di una o dell’altra famiglia di cui ormai non ricordavano nemmeno più il nome. Si misero allora a scrivere le nuove regole sulla tavoletta portata da Gilda e Gilda stava bene in ascolto mentre loro scrivevano, perché scoprì che le piaceva tanto sentire parlare mamma e papà di quello che l’una e l’altro pensavano fosse importante.

Una volta finito, la mamma restituì la tavoletta a Gilda e le mostrò che avevano lasciato un lungo spazio vuoto. Serviva, le spiegò la mamma, per le regole che Gilda avrebbe scoperto da sola man mano, anche a costo di qualche piccolo o grande inciampo, e che sarebbero state, finalmente, proprio le sue.

L’illustrazione è di ille_illustration