Avete presente quell’aggeggio che utilizza il dottore quando vi fa una visita per ascoltare come respirate? Quello con quel nome un po’ strano, lo stetoscopio?
Ecco: questa favola parla proprio di uno stetoscopio. Uno stetoscopio che, ironia della sorte, si era stancato di ascoltare.
“Ah io non ne posso davvero più” si lamentava lo stetoscopio all’interno della valigetta del dottore, rivolgendosi agli altri strumenti che erano lì con lui, come il martelletto, l’abbassa-lingua e il termometro. “Tutto il giorno ad ascoltare dica trentatré di qui e dica trentatré di là… e come respira questo e come respira quell’altro… e come batte quel cuore lì o quel cuore là… Basta, non ne voglio più sapere! E a me poi? Chi mi ascolta mai?”.
Capitava che gli altri strumenti del dottore ogni tanto gli rispondessero. “Ma di che cosa ti lamenti?” gli diceva ad esempio l’abbassa-lingua. “Pensa che io vengo infilato nella boccaccia delle persone e poi buttato via! Almeno tu resti all’asciutto!”.
Un giorno anche il termometro, di solito piuttosto silente, intervenne domandando allo stetoscopio: “ma che cosa vorresti che ascoltassimo? Cosa vorresti dire? non abbiamo capito…”. L’osservazione del termometro era sincera, non aveva nessun intento polemico, anzi, voleva provare ad aiutare l’amico stetoscopio. Lui però, permaloso com’era, la prese come una critica e si rabbuiò.
Il giorno successivo decise di mettersi in sciopero – eh sì, è un diritto anche degli stetoscopi – e, quando il dottore lo estrasse dalla valigetta per la visita del primo paziente del giorno, fece quella che noi chiamiamo “scena muta”. “Oh no lo stetoscopio fa i capricci oggi…” disse il dottore constatando che, se pur il paziente fortunatamente stesse respirando bene, non riusciva a sentire niente. Ripose così lo stetoscopio nella valigetta e andò a prendere quello di riserva.
“Ohhh finalmente un po’ di pace” pensò lo stetoscopio. Non riusciva tuttavia a smettere di pensare alle parole del termometro. “Ma come si permette… Che cosa vorresti che ascoltassimo? Che cosa vorresti dire? Io ne ho sentite tante dalla gente che il dottore mi ha fatto ascoltare in questi lunghi anni e ho anche io le mie opinioni, invece devo sorbirmi sempre e solo le diagnosi del dottore! Vorrei che ascoltassero quello che ho da dire, come ad esempio… va beh forse adesso proprio un esempio non saprei ma…”.
Mentre si lamentava tutto imbronciato tra sé e sé e cercava di pensare a cosa avrebbe voluto dire, si trovò vicino il martelletto: “Come stai oggi stetoscopio? Va un po’ meglio? Che cosa fai in questo giorno di sciopero?”.
“Non saprei” rispose sinceramente lo stetoscopio, “me ne sto qui e invece di godermi il mio giorno di sciopero penso alle domande del termometro a quel Che cosa vorresti dire? e mi sento un po’ tutto strano”.
“Sai” gli disse il martelletto “una volta a me era capitato di non lavorare per alcuni giorni, il dottore si era ammalato e quindi io ero rimasto nella valigetta senza nulla da fare. Ero stato contento di potermi riposare per qualche momento, ma poi avevo iniziato a sentirmi strano, non ricordo bene cosa sentissi, ma ricordo che ero anche un po’ spaventato, come se non sapessi neanche tanto più bene chi fossi”.
“Beh sì” intervenne l’abbassa-lingua sentendoli – sono un po’ invadenti gli abbassa-lingua, è risaputo – “quando non facciamo quello che siamo abituati a fare ci sentiamo strani, a noi strumenti del dottore viene da chiederci a cosa serviamo quando non abbiamo pazienti a cui servire”.
Nel frattempo li aveva raggiunti anche il termometro – in una valigetta da dottore gli spazi sono quel che sono, è difficile parlare di qualcosa senza farsi sentire da tutti – e si dispiacque nel capire che lo stetoscopio era rimasto male per le sue domande. “Le mie domande di ieri non volevano farti arrabbiare, stetoscopio, erano domande sincere, che mi pongo io stesso. Io ci penso ogni tanto a cosa farei se non misurassi la temperatura degli altri. Mi chiedo a volte ad esempio se la mia di temperatura la saprei misurare e come farei e mi spaventa anche un po’ pensarci… per questo ti chiedevo, se fossi tu ad ascoltarti, che cosa vorresti dire”.
“Devo ammettere che non ci avevo mai pensato” disse lo stetoscopio “forse potrei provarci!”.
Così lo stetoscopio provò ad ascoltarsi da solo. All’inizio la cosa non sembrava funzionare: “non sento nulla!”. Il termometro lo esortò a ritentare. Tentativo dopo tentativo allo stetoscopio continuava a sembrare di non sentire proprio nulla ed iniziò a spazientirsi e sbuffare “uffa!”.
Il termometro osservò: “questo uffa è decisamente qualcosa da ascoltare! Riprova!”.
Così, seguendo i suoi uffa, lo stetoscopio finalmente riuscì a sentirsi. Si sentì dapprima arrabbiato per tutti quegli anni di lavoro faticosi, ma poi sentì anche la mancanza dell’ascolto dei pazienti del dottore, dei loro respiri e dei loro cuori e dei loro trentatré. Capì allora che la sua rabbia per il non venire mai ascoltato era più che altro la rabbia di non sapere farsi ascoltare. Per farsi ascoltare dagli altri però doveva prima riuscire a sentirsi lui da solo e, come stava proprio in quel momento sperimentando, non era poi così semplice.
Quando ascoltava gli altri non ci pensava mica a quello che sentiva lui e così era tutto un po’ più semplice. Come spesso accade però, le cose semplici non sono quelle che funzionano meglio e infatti, a furia di ascoltare senza sentirsi, lo stetoscopio era arrivato al punto di scioperare. Grazie alle domande del termometro ora stava imparando a fare entrambe le cose, alcuni giorni gli veniva più facile, altri meno, ma senz’altro aveva capito che era possibile ascoltare gli altri, sentendosi.